É scomparso il Signor Shunsaku Tamiya
Non c’è appassionato di modellismo al mondo che non abbia ma sentito
nominare il nome di Tamiya e le sue scatole di montaggio o non abbia mai sfogliato
una volta i suoi cataloghi a colori con i kit montati e ambientati in modo
superbo.
Shunsaku Tamiya, Presidente del Consiglio di Amministrazione e
Amministratore Delegato di Tamiya Corporation, è scomparso il 18 luglio 2025
all'età di 90 anni. Era nato infatti il 19 dicembre 1934, ma il fondatore dell’azienda
nel 1946, a Shizuoka, fu suo padre
Yoshio Tamiya.
La compagnia trattava il commercio del legname e comprendeva una segheria.
Nell’aprile 1948 un reparto fu attrezzato per la produzione di modelli in legno
e la cosa ebbe un successo tale che già nel 1953 la segheria fu chiusa e Tamiya
si specializzò nelle scatole di montaggio in legno, che all’inizio portavano il
marchio T.M.K. É del 1955 un
carro armato motorizzato, sempre in legno, che ebbe grande successo, ma fu il
“boom” delle navi modello che fece conoscere il marchio anche fuori dal
Giappone. Naturalmente il trend per tutti i costruttori di kit era di
abbandonare definitivamente il legno e passare alle materie plastiche.
Il figlio di Tamiya, Shunsaku, che si era Diplomato nel 1953 e laureato in
giurisprudenza nel 1958, era da poco entrato in azienda in quello stesso anno
quando riuscì a trovare un modello di carro armato della Revell, che fu per lui
una rivelazione: le parti che Tamiya si affannava a cercare di riprodurre con
tondini di legno, piccoli tubi d’alluminio e così via erano tutte davanti a
lui, in plastica, e con una qualità di riproduzione senz’altro maggiore.
A quell’epoca, tuttavia, il polistirene era una merce rara in Giappone, e
le importazioni dall’estero strettamente contingentate. Tamiya ricorda le
difficoltà stesse per poter avere altri kit di plastica, nel 1959, per poterli
studiare. Non ci volle molto a convincere il padre e nel 1960 passò decisamente
alla produzione in plastica con la corazzata Musashi in scala 1/800, sulla
quale apparve il marchio con le due stelline che ancora oggi contraddistingue
la marca. Per questo già nell’aprile 1960 venne Nominato Direttore Generale del
Dipartimento di Pianificazione, Tamiya Corporation.
Il momento era drammatico per il fabbricante giapponese, la cui forza
lavoro non era abituata al nuovo macchinario e ai nuovi materiali, dovendo
perciò appaltare all’esterno parte delle lavorazioni. Inoltre stampisti e ditte
specializzate in Giappone erano una rarità e l’unica che accettò di lavorare
per Tamiya pose delle condizioni molto dure e Tamiya dovette addirittura
occuparsi dell’importazione della plastica grezza perché quella che si trovava
in Giappone era di qualità inaccettabile. Tamiya accettò le condizioni e sperò
nel successo dell’operazione, ma la ‘Musashi’ sfortunatamente uscì insieme allo
stesso modello realizzato dalla Nichimo che, benché più piccolo, costava molto
meno del Tamiya, ed era venduto con lo scafo già preverniciato di rosso sotto
la linea di galleggiamento. Per parare il colpo Tamiya riciclò il suo modello
chiamandolo Yamato, corazzata gemella della Musashi, e pur se questo era un
trucco commerciale, il modello si vendette un po’ meglio, ma Tamiya restava in passivo.
Allora tentò la strada dell’impiego di Styrofoam, una plastica di qualità
infima che non incontrò i favori dei modellisti e l’azienda fu salvata in
extremis dall’offerta d’acquisto di stampi per automobiline penny toys
del genere che veniva abbinato ai dolciumi. Shunsaku Tamiya ebbe l’intuito di
chiamare questi giocattolini “Baby Racers” e confezionarli smontati in allegre
scatolette colorate con illustrazioni che lui stesso aveva ricavato da
pubblicità di riviste americane. Con sua stessa sorpresa si vendettero come il
pane e permisero a Tamiya di superare il difficile momento, e di tornare ai
kit, con una scatola di carro armato Panther in scala 1/35, che curiosamente
diventerà universalmente accettata per i mezzi militari in luogo dell’1/32
utilizzato fino a quel momento.
Il Panther era un semplice, molto lineare e privo delle sovrastrutture tipiche
delle navi, risultando poco costoso da realizzare. Nella scatola fu aggiunto un
motorino elettrico. Venduto a partire dall’inizio del 1962, il carro fu un
successo e permise a Tamiya di tornare con sicurezza nel campo delle scatole di
montaggio e diventare il colosso che oggi conosciamo. Nel 1965 entrava nel
mercato delle slot-car con una Jaguar ‘D’ Le Mans in scala 1/24 e l’anno
successivo cominciò l’esportazione massiccia dei modelli Tamiya in USA, Europa
e Australia, fregiandosi del logo “First in Quality Around the World” sulle
scatole. In effetti le slot-car Tamiya risultano fra le migliori prodotte in
Giappone.
Nel 1967 apparve una Honda F-1 in scala 1/12, mentre il 1968 segnò la prima
partecipazione di Tamiya alla Fiera del Giocattolo di Norimberga. Nello stesso
anno venivano messe in catalogo le prime figurine militari in scala 1/35,
progenitrici di una miriade di soldatini e accessori, che hanno permesso a
migliaia di modellisti di cimentarsi in perfezionati diorami.
Il 1° agosto 1969 Shunkasu Tamiya fu nominato Amministratore delegato di
Tamiya Mokei e nel 1977 divenne Presidente e Direttore Rappresentante della Tamiya
Corporation.
Nel 1974 Tamiya a giocò la carta dei modelli telecomandati, con motore
dapprima elettrico (con un carro armato Sherman M4) o anche a scoppio. La prima
auto radiocomandata (una Porsche 934 in scala 1/12) è del 1976.
Negli anni ’80 le fabbriche Tamiya furono automatizzate per consentire una
maggiore espansione e dal 1985 cominciarono a produrre gli stampi in proprio.
Alla fine degli anni ’80 fu introdotta una curiosa pista con macchinette di
fantasia (elettriche ma non slot-car) che viaggiavano a 4 ruote motrici, in
scala 1/32 circa. Nel giro di un anno ne furono venduti 10 milioni di pezzi. e
nel 1989 erano già a quota 44 milioni.
Il traguardo di 100 diversi modelli d’auto in scala 1/24 presenti sullo
stesso catalogo fu raggiunto nel 1990, con una Honda NSX. Negli anni seguenti
si assistette a un progressivo calo di modelli in scatola di montaggio,
compensato da un maggiore interesse nei mezzi radiocomandati che includevano
anche barche, navi e autocarri pesanti. La serie si è ampliata ancora nel 2000
con la presentazione di un carro armato Tigre in scala 1/16, completamente
funzionale anche nei più piccoli dettagli: cingoli a maglia metallica,
sospensioni su tutte le ruote, alzo del cannone ecc... il tutto accompagnato da
un riproduttore elettronico di realistici suoni.
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